Narrare la cronaca con speranza
Scoprire e raccontare le tante storie di bene nascoste fra le pieghe della cronaca
Cari Giornalisti, cari fratelli e sorelle, ci ritroviamo come ogni anno a celebrare l’Eucaristia, accompagnati dal ricordo del vostro patrono S. Francesco di Sales e dal messaggio del Papa per la Giornata delle comunicazioni sociali. In quest’anno giubilare, guida la nostra celebrazione la virtù della speranza, virtù che ci aiuta a guardare l’oggi per costruire il domani, e di guardare al domani con una nuova narrazione. Ci mettiamo in ascolto della parola di Dio, Parola di speranza. La pagina del Siracide è un invito a osservare i comandamenti, tenendosi lontano dall’ingiustizia e dal male, dalla corruzione, portando all’altare i frutti, anche semplici, della propria responsabilità, come profumo d’incenso che sale a Dio. Una responsabilità che è richiesta sempre di più oggi a chi lavora nel mondo della comunicazione, che rischia di essere trascinato nell’onda delle informazioni deformate, se non addirittura false, per provocare, contrapporre, modificando addirittura la percezione della realtà per avvalorare una tesi. In questo modo la comunicazione genera ansia e paura, non speranza, mina le basi della comunità e la costruzione del bene comune, dissolve il vero volto dell’altro – parafrasando una affermazione di don Tonino Bello ricordata da Papa Francesco nel messaggio di quest’anno, indebolisce la speranza. E senza speranza c’è disperazione, si alimenta la sfiducia e l’illusione. Perché la speranza è vita. Chi legge e comunica la vita, chi fa cronaca se non sa leggere i fili d’erba nelle crepe del muro rischia di nascondere, se non addirittura uccidere i nuovi volti, le piccole e nuove esperienze, le sperimentazioni, le innovazioni. Senza speranza la comunicazione è schiacciata sull’oggi e non guarda al domani, non sa collegare cause ed effetti, le scelte di ieri e le scelte di domani. Senza speranza si servono i padroni, “i pochi centri di potere che controllano una massa di dati e informazioni” e si diventa solo cassa di risonanza di qualcuno. Essere comunicatori di speranza significa andare sulla strada, incontrare per raccogliere certamente rabbia, insoddisfazione, chiusure, ma anche atteggiamenti di apertura e amicizia, generando interesse, rispettando sempre la dignità di ogni persona, con creatività, e cercando di costruire comunità. Per questo – scriveva don Primo Mazzolari nel 1945 in una lettera a un giornalista – “Parlare al popolo per mezzo del giornale e della radio non è una qualunque occupazione per cavarci il pane quotidiano. Il Vangelo lo chiama un ministero, ‘il ministero della parola’, e suppone una dignità, se l’appellativo di ‘vocazione ti infastidisce” (P. Mazzolari, Messaggi della speranza, Bologna, EDB,2014, p.76). Il Papa ricorda che “il buon comunicatore fa sì che chi ascolta, legge o guarda possa essere partecipe, possa essere vicino, possa ritrovare la parte migliore di sé stesso ed entrare con questi atteggiamenti nelle storie raccontate”. Un esempio di comunicazione è quello della pagina evangelica di Marco. C’è una domanda di Pietro a Gesù: abbiamo lasciato tutto per te, cosa avremo in cambio?” Se fosse un qualunque politico di oggi la risposta sarebbe scontata, con promesse e doni – quasi una ‘mille proroghe’ – per il domani. Gesù cambia narrazione: la condivisione genererà ricchezza oggi e domani, e molti dei primi saranno ultimi. Un giornalista cosa riprenderebbe? Le promesse del politico o il nuovo criterio di vita di Gesù, che ribalta le logiche della politica. Anche nella nostra città, nei nostri Paesi c’è chi sta ribaltando le logiche di una politica che cerca solo il consenso dimenticando i problemi, che non si schiera secondo le polarizzazioni, ma guarda ai problemi, che preferisce amministrare il territorio piuttosto che posti nel partito, che si vergogna di usare parole e provocazioni per alimentare le contrapposizioni, che riparte dagli ultimi piuttosto che dai primi, dai piccoli piuttosto che dai grandi, che non sono sui social, ma accanto alla gente. Nelle nostre città e nei paesi c’è chi spende la sua vita accanto ai malati, a chi arriva da lontano, a chi studia, a chi è solo: volontari della speranza, consacrati al bene. Chi vuole comunicare speranza ha il coraggio “di scoprire e raccontare le tante storie di bene nascoste fra le pieghe della cronaca” – come scrive papa francesco, senza fretta, imitando “i cercatori d’oro che setacciano instancabilmente la sabbia alla ricerca della minuscola pepita”, dei “semi di speranza”, che generano fiducia, rispetto, nuove relazioni. Cari giornalisti, il vostro lavoro non è facile, soprattutto oggi, anche perché spesso precario, senza una reale redazione, senza confronto. Per questo vi siamo grati, che nonostante questo ogni giorno, ogni settimana sapete comunicare un vissuto attorno a noi. Il Signore, per intercessione di S. Francesco di Sales, accompagni il vostro ‘ministero della parola’ e vi aiuti a sperare per comunicare e seminare sempre speranza. Così sia.
Ferrara 04/03/2025
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