San Rocco, il pellegrino



Senza amore, ci insegna S. Rocco, non c’è futuro per le nostre comunità


Onorevoli autorità, cari confratelli, cari fratelli e sorelle, ci riunisce oggi attorno all’altare e per la tradizionale processione la festa del vostro Santo patrono, S. Rocco. S. Rocco è un pellegrino, ma nella storia della spiritualità cristiana e delle nostre comunità è il Santo che si fa vicino ai malati, condividendo fino alla morte la malattia del prossimo. E’ un Santo della penitenza e della carità. E’ un Santo della penitenza, che sente la necessità di cambiare la sua vita dopo aver incontrato il Signore. E’ il Santo della carità, di quella prossimità che papa Francesco ripete essere una delle dimensioni necessarie della testimonianza cristiana. Ci ritroviamo a celebrare in questa chiesa parrocchiale, costruita 60 anni fa, nel 1964, durante gli anni della bonifica, che ha visto arrivare in questo territorio molte famiglie, quando la parrocchia era ancora sotto la l’Arcidiocesi di Ravenna. Oggi, purtroppo, c’è una tendenza contraria, di famiglie che lasciano questa comunità per andare verso centri più abitati. Ci mettiamo in ascolto della Parola di Dio. La pagina del profeta Isaia ci parla proprio di carità, di condivisione, di cui S. Rocco è stato un esempio. Carità significa impegnarsi per la libertà e la dignità di ogni persona; significa condivisione di beni; significa vedere le sofferenze delle persone, significa ricercare la giustizia. San Paolo VI ci ha ricordato che “Se noi, noi cristiani avessimo compreso questo Vangelo dell’amore, la sua legge, la sua necessità, la sua fecondità, la sua attualità, non ci lasceremmo sorprendere dal dubbio che il cristianesimo, la nostra fede (Gal. 5, 6) sia incapace a risolvere nella giustizia e nella pace le questioni sociali, ma che occorra attingere questa capacità al materialismo economico, all’odio di classe e alla lotta civile, col pericolo di affogare la nostra professione cristiana nelle ideologie di chi la combatte e di dare alle questioni umane soluzioni amare, illusorie e fors’anche alla fine antisociali e antiumane” (Udienza, 20 settembre 1972).
Essere uomini e donne di carità significa essere accompagnati, guidati dal Signore, che non farà mai venire meno il suo aiuto a chi confida in Lui, ai suoi servi. Troppe volte, purtroppo, fatichiamo ad essere uomini e donne di carità. Ci rovina l’individualismo, l’egoismo, la chiusura, nell’ingenuità che questi atteggiamenti ci proteggano, ci rendano più ricchi. Invece ci rendono più poveri, soli; impoveriscono le nostre comunità che perdono il senso del bene comune e dei beni comuni: la salute, l’educazione, la condivisione. San Rocco ci insegna nella sua vita, terminata in riva al Po nei pressi di Piacenza, che solo il dono, la condivisione, l’interesse per gli altri, soprattutto se poveri e malati, costruisce e arricchisce ciascuno di noi e le nostre comunità cristiane. Dove troviamo la forza della penitenza, della carità, dell’amore al prossimo di cui è stato testimone S. Rocco? Ce lo ricorda l’apostolo Giovanni in una pagina della sua prima lettera che abbiamo riascoltato. E’ l’amore di Dio, la comunione con Lui che rigenera la nostra vita e la rende capace di amare. Un amore che Dio ha sempre dimostrato per l’uomo e il suo popolo nel corso della storia della salvezza e che ha al centro l dono di suo Figlio, Gesù Cristo, che è arrivato a dare la sua vita per noi. Un amore e un dono che sperimentiamo realmente in ogni Eucaristia. Ogni cristiano, partecipando all’Eucaristia, sacramento che costruisce la Chiesa, è chiamato a crescere in questa relazione con Dio, grazie anche al dono dello Spirito che ci rende familiari con Dio, capaci di chiamare Dio con il nome di ‘Padre’. Si rimane in relazione con Dio tutte le volte che nella preghiera ci affidiamo a Lui e tutte le volte che lo riconosciamo nei fratelli e nelle sorelle povere e sofferenti nell’anima e nel corpo. E la nostra salvezza viene da questa capacità di amare Dio e il prossimo con tutto noi stessi e come noi stessi, ci ricorda la pagina evangelica di Matteo. Saremo giudicati sull’amore e non su parole e altri gesti, che sono inutili per la nostra salvezza. Un amore, ricorda la pagina evangelica, che concretamente si traduce nell’attenzione a chi ha fame di pane – quasi un miliardo di persone oggi nel mondo – evitando sprechi e allargando la condivisione; un amore che si traduce nella visita a chi è solo: malato, anziano, carcerato; un amore che è attento ai doni del creato – come l’acqua – assente in molte parti del mondo e sprecata spesso da noi, di cui cominciamo a sentirne la mancanza per le nostre colture. Un amore che diventa anche accoglienza dello straniero, senza inutili e continue pretese, senza false difese, ma costruendo una ‘cultura dell’incontro’ – di cui parla continuamente Papa Francesco – la sola che rigenererà le nostre comunità. La pagina di Matteo ci ricorda che tutte le volte che concretamente amiamo il prossimo nei volti che abbiamo ricordato nei volti di chi ha fame, sete, è malato o solo, straniero di un altro Paese, tutte queste volte ci prepariamo al Paradiso, alla vita e alla gioia eterna. Cari fratelli e sorelle, S. Rocco ci insegni questa concreta capacità di amare, nei volti concreti delle persone che incontriamo ogni giorno, che per Lui ha significato anche dare la vita per la cura delle persone. Senza amore, ci insegna S. Rocco, non c’è futuro per le nostre comunità. Senza amore non c’è Paradiso.

Berra - Fe 16/08/2024

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