Da cristiani custodi del creato e non dominatori e consumatori



Domandiamoci: qual è il nostro stile di vita e quale uso facciamo dei beni essenziali del creato: acqua, terra, cielo?

Cari fratelli e care sorelle, è una gioia per me essere tra voi e con il vostro parroco don Aleardo, soprattutto perché come oggi, 40 anni fa, venivo ordinato presbitero della Chiesa di Cremona dal mio Vescovo Enrico, insieme ad altri dodici compagni di classe. L’Eucaristia che celebro oggi mi riporta a quella prima Eucaristia, concelebrata nel giorno dell’Ordinazione, all’emozione di quel giorno. Con voi anche oggi mi metto in ascolto della Parola di Dio, che ci accompagna nel nostro cammino. La pagina del libro di Giobbe ci riporta la domanda che il Signore fa a Giobbe, mentre vive momenti di paura in mezzo a un uragano. Il Signore chiede a Giobbe chi ha creato il mare e lo governa, perché quando è “vestito di nubi” non trasbordi con le sue onde? La domanda con cui il Signore si rivolge a Giobbe è per invitarlo a non perdere la fede, anche se la sua vita è segnata da calamità. E’ proverbiale, infatti, la pazienza di Giobbe, perché nonostante i mali della sua vita non perde la fede e la speranza in Dio. La domanda che Dio rivolge a Giobbe è rivolta, oggi anche a noi. Difronte ai mali del mondo – guerre, violenze, calamità – non portano talora a credere che Dio è colpevole di questi mali? Dio è Creatore del cielo e della terra, come recitiamo nel Padre nostro ogni Domenica, ma non è autore del male. Il male nasce nel cuore dell’uomo e le sue azioni hanno effetto anche sul creato, come ci ricorda Papa Francesco nell’enciclica Laudato sì. Guardando all’esempio di S. Francesco d’Assisi, Papa Francesco ci ricorda che“ se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea” (L.S.11). Domandiamoci: qual è il nostro stile di vita e quale uso facciamo dei beni essenziali del creato: acqua, terra, cielo? La pagina di San Paolo ai Corinzi ci dà la risposta a questo interrogativo. Se “l’amore di Cristo ci possiede”, vivendo non più solo per noi stessi ma aprendoci agli altri, alla cura del creato, diventiamo nuove creature. E’ l’amore che fa la differenza nelle relazioni con le persone e anche con le cose create. Chi ama più che prendere dona, come vediamo nelle nostre famiglie e come dovrebbe essere nelle nostre comunità. Chi ama condivide, tutto, come ci insegna la prima comunità apostolica: era uniti nell’ascolto della Parola e nella preghiera, nella celebrazione eucaristica, ma anche nella condivisione e nella carità. Le nostre comunità parrocchiali sono fondate su queste tre doni: il dono della Parola, che è la catechesi, il dono del pane eucaristico, presenza reale del Signore, la carità, cioè la condivisione delle cose. Se uno di questi tre doni viene meno s’indebolisce la comunità cristiana e la sua capacità di amare Dio e il prossimo. Se viene meno la Parola, la catechesi, siamo educati dalle parole degli altri, che tante volte tradiscono e ingannano, non sono parole di verità; se viene meno il dono dell’Eucaristia, le nostre comunità non vivono la Domenica come la festa, che è incontro con il Signore e i fratelli e le sorelle nella fede; se viene meno la carità, diventiamo egoisti, non riconosciamo le sofferenze tra noi e nel mondo, non viviamo la prossimità con i più poveri. Cari fratelli e sorelle, non facciamo mancare alla nostra comunità questi tre doni, queste tre dimensioni, perché possa crescere nell’ascolto della parola, con l’Eucaristia e nella carità. La pagina evangelica di Marco si collega all’episodio della prima lettura di Giobbe. Come Giobbe si è trovato in mezzo a un uragano in mare così i discepoli sulla barca con Gesù si trovano in mezzo a una tempesta passando da una riva all’altra del lago di Tiberiade. Come Dio Padre ha rassicurato Giobbe, così Gesù, Figlio di Dio rassicura i suoi discepoli, spaventati. Gesù rimprovera i discepoli che, pur vivendo con Lui, non hanno ancora fede. Spesso anche la nostra fede vacilla difronte alle difficoltà della vita. Non comprendiamo ancora i limiti della natura umana, rischiando di pensare di poter governare tutto, mentre basta poco per farci cadere: una pandemia, una sofferenza, un fallimento. La fede accompagna ogni momento della vita e cresce in ogni momento della vita: nei momenti più facili e nei momenti più difficili. La fede è come una luce che accompagna nel buio – ci ha ricordato Papa Francesco nell’enciclica Lumen fidei – “perché quando la sua fiamma si spegne anche tutte le altre luci finiscono per perdere il loro vigore. La luce della fede possiede, infatti, un carattere singolare, essendo capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo. Perché una luce sia così potente, non può procedere da noi stessi – continua il Papa -, deve venire da una fonte più originaria, deve venire, in definitiva, da Dio. La fede nasce nell’incontro con il Dio vivente, che ci chiama e ci svela il suo amore, un amore che ci precede e su cui possiamo poggiare per essere saldi e costruire la vita. Trasformati da questo amore riceviamo occhi nuovi, sperimentiamo che in esso c’è una grande promessa di pienezza e si apre a noi lo sguardo del futuro. La fede, che rice­viamo da Dio come dono soprannaturale, appare come luce per la strada, luce che orienta il nostro cammino nel tempo” (L.F.5). Cari fratelli e sorelle, chiediamo al Signore di rafforzare la nostra fede perché possiamo attraversare le tempeste della nostra vita e avere una luce nel buio che attraversa talora il mondo in cui viviamo. La fede, unita alla carità e alla speranza formino l’abito della nostra vita cristiana e le fonti della nostra vita comunitaria. Così sia

Ausiello - Ferrara 23/06/2024

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