“Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico…”


SUGGESTIONI, PROVOCAZIONI DALL’ENCICLICA FRATELLI TUTTI


Cari amici, Papa Francesco con l’enciclica Fratelli tutti ci invita ad alzare gli occhi, a guardare la realtà, la storia, il cammino delle persone, ma con occhi nuovi, che sappiano “riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita” (F.T.1).

1. Uno sguardo a un mondo chiuso
1.1 Guardare al ‘noi
L’enciclica Fratelli tutti di papa Francesco traduce nel concreto e nella storia odierna l’esigenza dell’annuncio della gioia del Vangelo con cui ha aperto il suo Pontificato con l’esortazione apostolica Evangelii gaudium. La Fratelli tutti inizia non con un’idea, un’emozione, ma con una domanda concreta: “Di chi mi devo fare fratello?” L’obiettivo è che - scrive Papa Francesco: “alla fine non ci siano più “gli altri”, ma solo un “noi”” (F.T.35).
Cosa oggi impedisce di costruire fraternità? Si domanda poi il Papa.
L’enciclica segnala quali sono gli ostacoli nella realizzazione di un mondo fraterno, a cominciare la distanza tra il singolo e la comunità (F.T. 12), l’individualismo che ha fatto perdere il senso della storia, ha rigenerato chiusure, violenza, ha trasformato le persone in consumatori. Chi sono i protagonisti di questo dramma?
Il primo tassello di questo dramma è la politica, che ha perso il senso delle parole come democrazia – su cui rifletteremo nella prossima Settimana sociale di Trieste – libertà, giustizia, il senso critico. Scrive Papa Francesco: “La politica così non è più una sana discussione su progetti a lungo termine per lo sviluppo di tutti e del bene comune, bensì solo ricette effimere di marketing che trovano nella distruzione dell’altro la risorsa più efficace» (n. 15).
Il secondo tassello di questo dramma è la cultura dello scarto, una cultura corporativa, senza memoria storica, interessata a salvaguardare ciò che è utile più che ciò che è bello. Contro questa cultura è necessario favorire la cultura dell’altro, che valorizza la diversità, che promuove l’unità, che salvaguarda la bellezza delle cose e del creato.
Il terzo tassello di questo dramma è l’indebolimento dei diritti e della loro esigibilità, che chiede un impegno serio di advocacy, di tutela delle persone, che chiede la presenza di un centro di ascolto Caritas in ogni unità o comunità pastorale, per cogliere le ingiustizie o anche solo per indirizzare le persone a ciò che è a loro dovuto.
Il quarto tassello del dramma è la debole cultura dell’accoglienza dei migranti, campo quotidiano di sfida delle Beatitudini e del discorso della montagna. L’illusione che la chiusura preservi dal male che solo gli altri portano segna profondamente anche le nostre comunità e non le rendono capaci di un’accoglienza fraterna intelligente. Il Papa è chiaro: “È inaccettabile che i cristiani condividano questa mentalità” (n. 39).
Il quinto tassello di questo dramma è lo stile di una nuova comunicazione che accorcia le distanze, ma sviluppa atteggiamenti di chiusura e di intolleranza, odio. Abbiamo invece bisogno – dice il Papa «di gesti fisici, di espressioni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo, e persino di profumo, tremito delle mani, rossore, sudore, perché tutto ciò parla e fa parte della comunicazione umana» (n. 42).
1.2 Guardare altrove
La nostra salvezza è sempre a noi estranea, “è alloggiata altrove” – direbbe Michel de Certeau (1925-1986) . Non può alloggiare in noi: chiede la ricerca e l’incontro, l’accoglienza, un volto diverso delle nostre città. La vita e il magistero della Chiesa sono segnate dal cammino insieme con gli uomini e dal considerare l’incontro, il rispetto di ogni persona come la strada da percorrere: segni di una fraternità e di una maternità di una Chiesa senza frontiere: e questa prospettiva è centrale nell’ultima enciclica Fratelli tutti di Papa Francesco. L’enciclica parla di migrazioni in 22 passaggi. Una forte immigrazione segna sempre e trasforma la cultura di un luogo, ma è “Una benedizione”: “immigrati, se li si aiuta a integrarsi, sono una benedizione, una ricchezza e un nuovo dono che invita una società a crescere» (F.T. 135, che citando un passaggio della conversazione con un giornalista argentino: Latinoamérica. Conversaciones con Hernán Reyes Alcaide, Ed. Planeta, Buenos Aires 2017, 105). Il Papa dedica un paragrafo completo della Fratelli tutti, ai nn. 37-41: quasi una denuncia con il titolo “Senza dignità umana sulle frontiere”. Cinque sono i temi di sfida delle migrazioni che il Papa ricorda.
Anzitutto le migrazioni sono elemento fondamentale di sviluppo: «Le migrazioni costituiranno un elemento fondante del futuro del mondo» (F.T.40). Ma oggi molte situazioni risentono di una «perdita di quel senso della responsabilità fraterna, su cui si basa ogni società civile». L’Europa, ad esempio, rischia seriamente di andare per questa strada. Tuttavia, “aiutata dal suo grande patrimonio culturale e religioso, [ha] gli strumenti per difendere la centralità della persona umana e per trovare il giusto equilibrio fra il duplice dovere morale di tutelare i diritti dei propri cittadini e quello di garantire l’assistenza e l’accoglienza dei migranti” (F.T. 40).

2. Sfide
La seconda sfida che pone la migrazione è vincere il populismo espressione dell’egoismo. “Tanto da alcuni regimi politici populisti quanto da posizioni economiche liberali, si sostiene che occorre evitare ad ogni costo l’arrivo di persone migranti. Al tempo stesso si argomenta che conviene limitare l’aiuto ai Paesi poveri, così che tocchino il fondo e decidano di adottare misure di austerità. Non ci si rende conto che, dietro queste affermazioni astratte difficili da sostenere, ci sono tante vite lacerate. Molti fuggono dalla guerra, da persecuzioni, da catastrofi naturali: 110 milioni lo scorso anno, di cui 40 milioni sono profughi e rifugiati ambientali o climatici. “Nei prossimi cinquant’anni si prospetta che un numero crescente di territori del mondo saranno inabitabili, di conseguenza è prevedibile che tre miliardi e mezzo di esseri umani si sposteranno dalle proprie terre (Ibid.: 9). Per limitarci a due soli esempi, larga parte del Bangladesh è già inabitabile ed è previsto che tredici milioni dei suoi abitanti saranno costretti a migrare entro il 2050, mentre le isole Maldive rischiano addirittura di scomparire. In base alle sue previ¬sioni, Vince sostiene che le migrazioni diventeranno la questione più rilevante da affrontare nel prossimo futuro” . Altri, con pieno diritto, sono “alla ricerca di opportunità per sé e per la propria famiglia. Sognano un futuro migliore e desiderano creare le condizioni perché si realizzi” (F.T. 37).
La terza sfida è riaffermare il diritto a non emigrare cioè la ferita della migrazione. “Purtroppo, altri sono «attirati dalla cultura occidentale, nutrendo talvolta aspettative irrealistiche che li espongono a pesanti delusioni. Trafficanti senza scrupolo, spesso legati ai cartelli della droga e delle armi, sfruttano la debolezza dei migranti, che lungo il loro percorso troppo spesso incontrano la violenza, la tratta, l’abuso psicologico e anche fisico, e sofferenze indicibili». Coloro che emigrano «sperimentano la separazione dal proprio contesto di origine e spesso anche uno sradicamento culturale e religioso. La frattura riguarda anche le comunità di origine, che perdono gli elementi più vigorosi e intraprendenti, e le famiglie, in particolare quando migra uno o entrambi i genitori, lasciando i figli nel Paese di origine». Di conseguenza, «va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra». (F.T. 38).
La quarta sfida è vincere paure e pregiudizio. Per giunta, «in alcuni Paesi di arrivo, i fenomeni migratori suscitano allarme e paure, spesso fomentate e sfruttate a fini politici. Si diffonde così una mentalità xenofoba, di chiusura e di ripiegamento su se stessi». I migranti vengono considerati non abbastanza degni di partecipare alla vita sociale come qualsiasi altro, e si dimentica che possiedono la stessa intrinseca dignità di qualunque persona. Pertanto, devono essere “protagonisti del proprio riscatto”. Non si dirà mai che non sono umani, però in pratica, con le decisioni e il modo di trattarli, si manifesta che li si considera di minor valore, meno importanti, meno umani. È inaccettabile che i cristiani condividano questa mentalità e questi atteggiamenti, facendo a volte prevalere certe preferenze politiche piuttosto che profonde convinzioni della propria fede: l’inalienabile dignità di ogni persona umana al di là dell’origine, del colore o della religione, e la legge suprema dell’amore fraterno (F.T. 39). “Comprendo - scrive il Papa che di fronte alle persone migranti alcuni nutrano dubbi o provino timori. Lo capisco come un aspetto dell’istinto naturale di autodifesa. Ma è anche vero che una persona e un popolo sono fecondi solo se sanno integrare creativamente dentro di sé l’apertura agli altri. Invito ad andare oltre queste reazioni primarie, perché «il problema è quando [esse] condizionano il nostro modo di pensare e di agire al punto da renderci intolleranti, chiusi, forse anche – senza accorgercene – razzisti. E così la paura ci priva del desiderio e della capacità di incontrare l’altro» (F.T. 41).
Queste sfide che il Papa ricorda ci fanno comprendere come le migrazioni sono un ‘segno dei tempi’ - come ha ricordato Benedetto XVI nel messaggio della 92° Giornata del Migrante e del Rifugiato del 2005 e ha ripetuto più volte Papa Francesco -, perché genera l’incontro tra popoli, il confronto, lo scambio culturale, il dialogo religioso. Ed “è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo » (GS 4; cf UR 4; PO 9). Papa Francesco nell’esortazione Amoris laetitia ha sottolineato che “l’attenzione dedicata tanto ai migranti quanto alle persone con disabilità è un segno dello Spirito. Infatti, entrambe le situazioni sono paradigmatiche: mettono specialmente in gioco il modo in cui si vive oggi la logica dell’accoglienza misericordiosa e dell’integrazione delle persone fragili” (A.L. 47). E’ su queste logiche che occorre ripensare la comunità.

3. Quale sguardo?
Nell’enciclica Fratelli tutti Papa Francesco ci ripresenta lo sguardo, il modello del Buon Samaritano, che non guarda a chi è vicino, ma si rende vicino a ogni persona. Il Buon Samaritano diventa un modello sociale e civile (cfr n. 66), ma anche lo stile di ogni cristiano, oltre che il criterio con cui giudicare tutti i progetti economici, politici, sociali e religiosi. Nel Samaritano buono vediamo lo stile del cristiano in questo mondo “meraviglioso e drammatico”, come scriveva S. Paolo VI, che concludeva il Concilio Vaticano II consegnando alla Chiesa “la spiritualità del Buon Samaritano” (Discorso conclusivo del Concilio Vaticano II, 8 dicembre 1965).

4. Uno sguardo d’amore eccedente
L’amore è sempre ‘un di più’, è sempre “eccedente” – scriveva don Primo Mazzolari. L’amore apre e non chiude: apre all’altro, al figlio, al mondo. L’amore non è legato a un luogo, non è localistico, nazionalistico, ma da un luogo guarda il mondo. L’amore non impone, ma promuove, accompagna, costruisce (F.T. 106-111). Ascolta prima di parlare. L’amore è vicino: non si ama a distanza. L’amore più che possedere condivide, coopera (118-120). L’amore è giusto, rispetta i diritti, L’amore chiede libertà, uguaglianza, fraternità (101-105).

5. Uno sguardo aperto al mondo
Lo sguardo d’amore del Buon Samaritano oggi abbatte il limite delle frontiere, non perché una persona non possa vivere nella propria terra, ma perché non ci sono le condizioni, soprattutto “per gravi crisi umanitarie” (F.T. 129). E’ uno sguardo che favorisce l’incontro, lo scambio, non solo di merci, ma di persone, il riconoscimento reciproco, le diverse ‘capability’ – per dirla con Amartya Sen. E’ uno sguardo interculturale, locale e universale, glocal (cap.IV).

6. Uno sguardo politico
E’ uno sguardo quello del Buon samaritano di oggi che ha un carattere ‘politico’ (cap. V), cioè non si ferma a curare una situazione di disagio, ma le cause che le genera, la città. In questo senso, Papa Francesco giudica la politica – come i suoi predecessori Pio XII, Paolo VI – come “la più alta forma di carità”. Una politica che non può scadere nel populismo, cioè nella critica fine a sè stessa, e neppure essere schiacciata sul liberismo, cioè fortemente individualista (F.T.163-169) e dipendente dall’economia e dalla tecnocrazia, rispettosa del creato e con uno sguardo sempre al futuro, un’architettura integrale, non schiacciata sul presente. Sia la visione liberista borghese che marxista tradiscono questa dipendenza della politica dall’economia e perdono una visione integrale. La politica deve avere una base antropologica e metafisica, cioè deve avere al centro la dignità della persona umana e una visone integrale della persona, la realtà nella sua complessità, così da dare risposte efficaci, sacrificando anche consensi, sapendo l’importanza di generare nuovi percorsi. L’educazione alla politica, allora, come la più alta forma di carità, diventa un impegno delle comunità cristiane.

7. Uno sguardo che aiuta a camminare, per nuovi percorsi
E guardando alle persone, la politica deve partire dalle relazioni con le persone, in particolare “ripartire dagli ultimi” (F.T. 233-235) e costruire un’architettura di pace – richiamando un testo di Giorgio la Pira – non nascondendo i conflitti, ma risolvendoli, anche con la forza del perdono. E questa forza oggi ci fa chiedere di abolire la pena di morte e di riaffermare l’irrazionalità (Calamandrei), l’inutilità (Giordani), l’ingiustizia (don Mazzolari) della guerra.

8. Uno sguardo ecumenico e interreligioso
Lo sguardo del Buon Samaritano supera le differenze religiose, ricordando che l’identità nasce da un riferimento a Dio come Padre che ci fa riconoscere fratelli, superando una logica di potere sugli altri che è all’origine di ogni forma di totalitarismo moderno (F.T.273). E questo riferimento a Dio non deve “smettere di vibrare nelle nostre viscere” (F.T.277), ma non può essere relegato “nell’ambito del privato”, ma ha una forza relazionale, sociale. “La rivoluzione cristiana” (Don Mazzolari) nasce dal riconoscersi figli e fratelli, capaci quindi di riconoscere la libertà di ciascuno, di condividere la terra, ricercare la giustizia: “E’ vero che i ministri religiosi non devono fare politica partitica, propria dei laici, però nemmeno possono rinunciare alla dimensione politica dell’esistenza che implica una costante attenzione al bene comune e la preoccupazione per lo sviluppo umano integrale” (F.T.276). La Chiesa ha un ruolo pubblico che non si esaurisce nelle sue attività di assistenza o di educazione, ma che si adopera per la promozione dell’uomo e della fraternità universale” – ha ricordato ancora papa Francesco, citando l’enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI (n.11). E questo ruolo pubblico la Chiesa è chiamata ad esercitarlo anche in dialogo e unità con altre religioni, anche per dimostrare che “la violenza non trova base alcuna nelle convinzioni religiose fondamentali, bensì nelle loro deformazioni” (F.T.283). «In una società pluralista», scrive il Pontefice, «il dialogo è la via più adatta per arrivare a riconoscere ciò che dev’essere sempre affermato e rispettato, e che va oltre il consenso occasionale» (n. 211), anche nelle nostre comunità cristiane.

9. Uno sguardo fraterno
L’enciclica termina richiamando l’appello alla pace, alla giustizia e alla fraternità presente nel documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale firmato ad Abu Dabi il 4 febbraio 2019 da papa Francesco e dal Grande iman Ahmad Al Tayyeb. Il Papa confida che l’appello è nato anche ispirandosi a S. Francesco d’Assisi e al Beato Charles de Foucauld, facendo riferimento in particolare alla sua meditazione sul Padre nostro, ma anche ad altri fratelli non cattolici: Martin Luter King, Gandhi, Desmond Tutu.

10. Uno sguardo al Creatore e alla Trinità
Chiude l’enciclica una preghiera interreligiosa Dio Creatore e Padre, perché ci ispiri “il sogno di un nuovo incontro, di dialogo, di giustizia e di pace”, e una preghiera ecumenica al Dio Trinitario, perché nell’amore, scopriamo che tutti sono importanti, che tutti sono necessari, che sono volti differenti della stessa umanità amata da Dio.

Torino 19/04/2024

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