Il Barcone affondato e recuperato, grido per il nostro mondo




Cari amici, nella notte tra sabato 18 aprile e domenica 19 aprile del 2015 il Mediterraneo inghiottiva l’ennesimo barcone, con a bordo quasi mille persone, che cercava un porto sicuro, un luogo d’approdo. Nessuno ha sentito il grido di uomini e donne, nessun ha sentito un lamento: morivano nel silenzio e nell’indifferenza di un mondo che sceglie chi accogliere e chi abbandonare, chi salvare e chi lasciare morire. I morti dormono nel “cimitero del Mediterraneo” insieme ad altri 50.000che negli ultimi 30 anni riposano in fondo al nostro mare. “uomini e donne come noi” – ha ricordato papa Francesco.
Mentre piangiamo queste morti, vergognandoci per non aver gridato abbastanza i loro diritti, attorno a noi abbiamo sentito, in questi dieci anni parole di rifiuto, quasi di guerra per loro: “bombardiamo”, “respingiamo”, “ignoriamo”, “chiudiamo”, “non riconosciamo”. Pietà di noi, Signore.
Le persone che sono morte nel Mediterraneo in quella tragica notte non avevano il diritto di rimanere nella loro terra, sfruttata da Dittatori, militari in connivenza con multinazionali e governi. E non hanno avuto il diritto di migrare in una nuova terra. Dopo essere stati sfruttati, picchiati, violentati, dopo aver visto la morte di familiari e amici sono morti lontano dalla loro terra. Soli. Abbandonati. Pietà di noi, Signore.
Erano uomini e padri di famiglia, erano donne e madri, erano giovani, ragazzi e bambini. Erano un popolo. Fratelli tutti. Provenivano da un Continente vicino, l’Africa, dalle terre del sub-Sahara: dal Mali e dal Ghana, dal Sud Sudan e dalla Nigeria, dove la fame, l’odio, la guerra, il terrorismo, la violenza avevano già segnato la loro nascita, crescita, vita. Con loro c’erano anche uomini e donne della Somalia e dell’Eritrea dalla Somalia – popoli che soffrono per la fame, la sete, la guerra da decenni -, dalla Palestina, dalla Terra Santa dove oggi si continua a morire, dal Bangladesh e dal Pakistan, dove la loro terra e la loro casa sono state sommerse dalle alluvioni, dai cambiamenti climatici, profughi ambientali non riconosciuti. Pietà di noi, Signore.
Il Mediterraneo continua ad essere un “grande cimitero sotto la luna”, parafrasando il titolo di un’opera di Georges Bernanos, “I grandi cimiteri sotto la luna”, scritta nel 1938 durante guerra civile spagnola. L’indignazione del grande scrittore cattolico francese che aveva sollevato il velo sugli orrori della guerra civile, ritorna oggi, contando le numerose guerre in atto in Asia, Africa e in Medio Oriente, in Ucraina, unite alle dittature e alle persecuzioni, ai disastri ambientali che lo scorso anno hanno generato 110 milioni di profughi e rifugiati. Pietà di noi, Signore.

Il barcone segno di denuncia
Il barcone davanti ai nostri occhi è un segno di denuncia di questa strage degli innocenti che si consuma nel Mediterraneo.
Il barcone davanti ai nostri occhi è un segno di denuncia della nostra indifferenza che non si lascia interrogare dalla domanda del Signore: “Dov’è tuo fratello?”, come disse Papa Francesco nell’omelia del suo viaggio a Lampedusa, primo del suo Pontificato.
Il barcone davanti ai nostri occhi è un segno di denuncia della nostra connivenza: nelle guerre, negli armamenti, nello sfruttamento delle terre, nelle deportazioni.
Il barcone è un segno di denuncia della nostra incapacità di costruire canali di libertà, canali umanitari d’ingresso nei Paesi sicuri, allargando e non restringendo la protezione internazionale, perché la salute possa essere curata, la vita salvata, la pace ritrovata. Fraternamente.
Il barcone è un segno di denuncia della mancata cooperazione allo sviluppo, promessa e mai attuata, che continua anche a indebitare i Paesi poveri e a negare loro la possibilità di una vita dignitosa. Ai Paesi poveri si continuano a dare le briciole: come con lo pseudo Piano Mattei promosso dal Governo italiano, nato nel 2024 con un fondo di 5 miliardi e mezzo che erano già stanziati per la cooperazione allo sviluppo e per i cambiamenti climatici e destinati “per lo sviluppo economico italiano in Africa”, in accordo con multinazionali. Un Piano che non ha nulla a che vedere con il vero Piano Mattei, pensato all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano da grandi economisti come Vico, Fanfani, giuristi come Giorgio La Pira, appoggiato da movimenti come “Economie e humanisme” di Padre Lebret già negli anni ’40 e realizzato negli anni ’50 “per la cooperazione allo sviluppo”, in particolare per una Riforma agricola dei Paesi africani poveri e che ha ispirato anche l’enciclica di San Paolo VI ‘Populorum progressio’. I 40 milioni migranti con le loro rimesse - che lo scorso anno hanno superato i 100 miliardi di dollari (20 volte quello che ha stanziato un Paese di 60 milioni di persone come l’Italia) sono coloro che veramente sostengono le loro famiglie e lo sviluppo dei paesi africani. Sono17 su 54 paesi che compongono l’Africa, quelli che dipendono dalle rimesse per almeno il 4% del loro Pil, Tra cui, Egitto, Marocco, Nigeria, Ghana. Ma ce ne sono alcuni (Gambia, Somalia, Comore, Lesotho, Capo Verde e Guinea-Bissau) che superano la soglia del 10%. Come ha detto il Presidente della Repubblica italiana nel recente viaggio in Ghana e in Costa d’Avorio, la cooperazione allo sviluppo deve essere al centro della politica economica dell’Europa – che per questo nel vertice UE-Paesi africani del 17/18 febbraio 2022 ha destinato un fondo di 150 miliardi di euro per la cooperazione allo sviluppo e alla pace – in collaborazione con i singoli Stati africani.
Il barcone è un segno di denuncia di un’Europa che non ha presidiato il Mediterraneo come la propria terra, ma l’ha ridotto a un confine, a un muro - uno dei tanti nati sul suolo europeo dopo che nel 1989 avevamo creduto di aver abbattuto l’ultimo muro - a una fossa comune. Il barcone, in altre parole, denuncia - per usare le parole di Alcide de Gasperi in un passaggio di un discorso a Roma del 13 ottobre 1953– “la mancanza di “moralità internazionale” dei Paesi europei , che chiede di spogliarsi “delle scorie egoistiche della loro crescita” per “elevarsi a un più fecondo senso di giustizia verso i deboli e i perseguitati”.
Ogni denuncia è “un atto di amore” – scriveva don Primo Mazzolari: un atto d’amore alla nostra società perché faccia uno scatto d’umanità e recuperi la solidarietà, la giustizia, la ricerca del bene comune, la sussidiarietà: principi che non innervano solo la Dottrina sociale della Chiesa, ma anche la nostra Costituzione.

Il barcone segno educativo
In questo senso la denuncia vuole educare e il barcone diventa allora un segno educativo.
Il barcone è un segno educativo perché fa memoria, “memoria penitenziale”, che aiuta a riconoscere e a non dimenticare le nostre colpe, la nostra indifferenza difronte alle sofferenze e alle morti di uomini e donne. “Senza memoria non si va mai avanti – ha scritto Papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti -, non si cresce senza una memoria integra e luminosa. Abbiamo bisogno di mantenere la fiamma della coscienza collettiva, testimoniando alle generazioni successive l’orrore di ciò che accadde», che risveglia e conserva in questo modo la memoria delle vittime, affinché la coscienza umana diventi sempre più forte di fronte ad ogni volontà di dominio e di distruzione” (F.T.249). La ‘memoria’ non è legata solo al passato, e in questo caso solo segno di morte, ma la memoria è anche del futuro, segno di risurrezione, di speranza. Per noi cristiani il barcone diventa allora memoria della Pasqua, dell’Exultet, quando “morte e vita si affrontano in un prodigioso duello, ma il Signore della vita trionfa”.
Il barcone è un segno educativo perché chiama, invoca responsabilità da parte di tutti, cittadini e istituzioni, difronte al dramma della mobilità umana che interessa sempre più persone, ormai 300 milioni di persone. La mobilità è la forma della vita che cerca una strada, un futuro, che non si può negare per interesse o disinteresse, ma accogliere, tutelare, promuovere e accompagnare.
Il barcone è un segno educativo per rendere attuale il comandamento “Tu non uccidere”, perché impegna a salvare, impegna a non armare, impegna a disarmare, impegna all’obiezione di coscienza alle armi: impegna alla pace. Dentro quel barcone c’erano uomini e donne che avevano negli occhi la guerra, il fuoco delle nostre armi vendute senza scrupolo, su cui lo scorso anno oi Paesi più ricchi hanno guadagnato 2247 miliardi di dollari.
Il barcone è un segno educativo alla custodia del creato, a cui Papa Francesco ci ha educato con l’enciclica Laudato sì e l’esortazione apostolica Laudate Deum. Da quel barcone esce il grido di uomini e donne che chiedono che la loro terra non diventi motivo di guerra, di sfruttamento, di devastazione, ma sia tutelata, protetta.
Il barcone è un segno educativo alla fraternità, perché “Dio ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro” (F.T.5) – ha ricordato papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti, ricordando un passaggio della dichiarazione sulla fratellanza firmata ad Abu Dabi con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb. Una fraternità che si costruisce giorno per giorno, nel riconoscimento dei diritti e dei doveri, delle pari opportunità, nella costruzione del ‘noi’, nella condivisione fraterna.
Il barcone è un segno di educazione alla politica, come “la più alta forma di carità” – come hanno ricordato i Papi del ‘900 fino a Papa Francesco. Una politica che ha al centro il bene comune e che non può escludere, dimenticare, tradire “le attese della povera gente”, come ricordava Giorgio La Pira in un suo bellissimo testo. Una politica che allarga e non restringe i confini, che riconosce nell’Europa la casa comune, per costruire il mondo come una casa comune. Una politica che non può rinchiudere, ma aprire, allontanare, ma avvicinare e avvicinarsi, per prendere per mano chi è più indifeso. Anche in questo nostro Mare Mediterraneo, mare europeo, mare che collega le sponde dell’Europa, dell’Africa e dell’Asia; mare dove hanno navigato persone delle grandi religioni cristiana, islamica ed ebraica; il mare di Paolo e di Pietro, gli apostoli che ci hanno regalato il Vangelo della gioia.

Il barcone, per queste ragioni, è un segno e un sogno “ di una cultura dell’incontro” che educhi e permei le nostre città, il nostro Paese, l’Europa a “superare paure, pregiudizi, diffidenze, promuovendo la mutua conoscenza, il dialogo e la collaborazione” (CEI, Educare alla vita buona del vangelo,14), per costruire un mondo diverso, chiamato ad essere ‘casa comune’, per una sola famiglia umana.

Il barcone oggi, per le nostre Chiese, per le nostre città, per il nostro Paese e per l’Europa, è “un segno dei tempi” che ci invita a guardare altrove. La nostra salvezza è sempre a noi estranea, “è alloggiata altrove” – direbbe Michel de Certeau (1925-1986) . Non può alloggiare in noi: chiede la ricerca e l’incontro, l’accoglienza, un volto diverso delle nostre città. In altre parole, il barcone chiede di guardare oltre noi stessi, guardare al domani con ‘occhi nuovi'.

Augusta - Sr 18/04/2024

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