La solitudine del malato non aiuta la cura


Talvolta il tempo dell’anzianità e della malattia è spesso vissuto nella solitudine e, talvolta, addirittura nell’abbandono...


Onorevoli autorità, Presidenti delle Associazioni, cari presbiteri, cari fratelli e sorelle, celebriamo oggi, come ogni anno la Giornata del malato, invocando lo sguardo materno della Madonna di Lourdes, ai cui piedi molti malati hanno trovato conforto e anche guarigione. Era il 13 maggio 1992, festa della Madonna di Fatima, quando san Giovanni Paolo II comunicava l'istituzione della Giornata mondiale del malato nel giorno della memoria mariana della Vergine di Lourdes, l'11 febbraio. Nello stesso giorno il giorno, otto anni prima, San Giovanni Paolo II aveva pubblicato la lettera apostolica Salvifici doloris sul significato cristiano della sofferenza. Nelle intenzioni del Papa polacco questa Giornata doveva essere «un momento forte di preghiera, di condivisione, di offerta della sofferenza per il bene della Chiesa e di richiamo per tutti a riconoscere nel volto del fratello infermo il Santo Volto di Cristo». Nell’odierna memoria della Madonna di Lourdes, Papa Francesco ha voluto nel suo Messaggio per la XXIII Giornata del malato ricordare come la cura del malato chiede la cura delle relazioni: la solitudine del malato non aiuta la cura, ma aggrava la malattia. Ci mettiamo in ascolto della parola di Dio di questa Domenica. La pagina del libro del Levitico ricorda le parole del Signore a Mosè e Aronne di attenzione alla cura della lebbra e di malattie similari. Allora chi aveva la lebbra era considerato impuro e viveva solo fuori dalla città, molto spesso trovando presto la morte. La malattia era considerata un castigo e la si viveva in solitudine. Nessun uomo può vivere da solo, ricorda il messaggio del Papa, tanto più la malattia. “Siamo creati per stare insieme, non da soli – scrive il Papa ricordando le parole della Genesi. E proprio perché questo progetto di comunione è inscritto così a fondo nel cuore umano, l’esperienza dell’abbandono e della solitudine ci spaventa e ci risulta dolorosa e perfino disumana. Lo diventa ancora di più nel tempo della fragilità, dell’incertezza e dell’insicurezza, spesso causate dal sopraggiungere di una qualsiasi malattia seria”, conclude il Papa. Diverso è lo stile di Gesù, ricordato nell’episodio evangelico di Marco. Di fronte al lebbroso che era venuto da lui, si mosse “a compassione, tese la mano, lo toccò” e gli regalò parole di purificazione e di guarigione. Lo stile di Gesù è lo stile del cristiano di fronte al malato, indicato in alcune parole chiave. “Mosso a compassione”. Sono le stesse parole che troviamo nella parabola del Buon Samaritano. Di fronte al malato, a chi ha bisogno di cura il primo atteggiamento è l’interesse, la cura, la vicinanza, la relazione. Purtroppo, ricorda Papa Francesco, “talvolta il tempo dell’anzianità e della malattia è spesso vissuto nella solitudine e, talvolta, addirittura nell’abbandono”. Questa situazione – ricorda ancora papa Francesco” è soprattutto conseguenza della cultura dell’individualismo, che esalta il rendimento a tutti i costi e coltiva il mito dell’efficienza, diventando indifferente e perfino spietata quando le persone non hanno più le forze necessarie per stare al passo”. Il cristiano non può accettare la logica individualista, che sottende anche ad alcune politiche di riduzione delle cure alle sole prestazioni, ma è chiamato a mettere al centro la dignità di ogni persona, a partire da chi soffre è malato, a costruire con il malato una relazione di cura. Da qui il secondo gesto di Gesù nei confronti del lebbroso: “Tese la mano”. Gesù non ha paura dell’incontro, non cura a distanza. Tendere la mano fino ad abbracciare una persona è un segno di cura dell’altro, del malato. Toccare significa rendersi conto delle ferite di un corpo, significa comprendere il dolore e testimoniare amore. Il Buon Samaritano – come ricorda anche papa Francesco – non ha paura di rallentare il passo, di fermarsi, di lenire le ferite della persona, di caricarlo sul suo cavallo. Il terzo gesto di Gesù è “lo toccò”. Toccare significa rendersi conto della malattia, del dolore del malato. Toccare significa incontrare, non avere paura dell’altro. Non si cura a distanza, come qualcuno vorrebbe nell’epoca dei social. E infine Gesù parla con il malato. Le sue parole sono di conforto, di incoraggiamento. Sono le parole che spesso curano più delle medicine. Sono le parole che costruiscono relazioni fraterne. Sono le parole che talora aiutano a sperare. Di fronte al malato lo stile del cristiano è lo stile di Gesù, Buon Samaritano, lo stile della prossimità, anche attraverso il tocco, il segno dell’unzione dei malati. Lo stile di prossimità ricorda la vita anche di tanti Sante e Santi – come S. Camillo, a cui è dedicato il vostro ex Ospedale oggi Casa della salute. E’ lo stile ricordato dall’apostolo Paolo nella pagina ai Corinzi: lo stile di chi non cerca il proprio interesse. Cari fratelli e sorelle, Maria nell’apparizione a Lourdes, ha rinnovato lo stile di Gesù di vicinanza e di preferenza per i malati. Guardando a Lei, cari fratelli e sorelle, “in questo cambiamento d’epoca siamo chiamati ad adottare lo stile compassionevole di Gesù”, prendendoci cura di chi soffre ed è solo e aiutando le persone a sentirsi parte di una comunità che “ci sostiene soprattutto nel tempo della malattia e della fragilità”. Madonna di Lourdes, prega per noi.

Comacchio - Fe 10/02/2024
 

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