Don Bosco, un ‘sognatore’


Ogni forma educativa deve guardare al cuore e non solo agli atti esteriori...

Cari fratelli e sorelle, è sempre una gioia condividere con voi e con i confratelli salesiani la festa di S. Giovanni Bosco, un Santo la cui scelta e passione educativa ha segnato e segna profondamente la vita della Chiesa, anche della nostra Chiesa. Ci mettiamo in ascolto della Parola di Dio di questa Domenica. La pagina del libro del Deuteronomio, il libro della legge del popolo d’Israele, ricorda le parole di Mosè che annuncia che il Signore susciterà tra il popolo un nuovo profeta. I profeti hanno accompagnato quasi tutta la storia del popolo d’Israele, fino a Giovanni il Battista. Anche nella vita della Chiesa continuano ad essere presenti profeti, persone che aiutano a interpretare la realtà alla luce della fede, persone che con semplicità vivono la fede. Sono i Santi, soprattutto. I Santi venerati e i Santi – come dice papa Francesco – della ‘porta accanto’, che vivono con intensità la quotidianità della fede. Tante volte questi profeti e Santi non sono capiti, tante volte sono ostacolati, altre volte considerati dei sognatori. San Giovanni Bosco è uno di loro. Quest’anno ricorrono i 200 anni dal sogno del ragazzo Giovanni, che a nove anni, nel 1824, riceve l’indicazione del suo compito educativo nei confronti dei ragazzi più difficili e abbandonati, sotto lo sguardo di una Madre, che è Maria. Il sogno caratterizzerà tutta la sua vita, quasi come una visione mistica. Nella storia biblica il sogno è il luogo della rivelazione della volontà di Dio ad Abramo, ai profeti, ai Re o nel Nuovo Testamento a Giuseppe o ai Magi o agli apostoli. Anche nella vita della Chiesa e dei Santi il sogno accompagna la conversione o alcune azioni (S. Martino di Tours, S. Francesco d’Assisi, per ricordare due esempi). Il sogno indica come Dio parla al nostro cuore, alla nostra coscienza, accompagna da dentro di noi il cammino della vita e le scelte della vita. Il sogno diventa anche desiderio, speranza, costruzione di un progetto, voglia di riforma. E’ il sogno di Papa Francesco, ripetuto più volte. Ricorderò, a questo proposito, solo un passaggio molto bello dell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium: “Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato all’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia. Come diceva Giovanni Paolo II ai Vescovi dell’Oceania – conclude Papa Francesco -, «ogni rinnovamento nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale » (E.G.27). Il sogno di Don Bosco, di S. Giuseppe, di S. Francesco si somigliano tutti: spingono fuori, hanno una forza missionaria, e spingono a cambiare stile per incontrare le persone e amare le persone. La pagina di San Paolo ai Filippesi è un invito alla gioia. In maniera indiretta la gioia ricorda il valore di ogni persona (sposata, celibe, uomo, donna…) e al tempo stesso la diversità dei carismi nella vita della Chiesa e del mondo. Tutti concorrono al bene. Nel suo modello educativo don Bosco è partito proprio dalla gioia per dare valore alla diversità di ogni persona. Non solo. Il modello educativo di don Bosco valorizza razionalità e manualità, mettendo al centro, come altri educatori del suo tempo e successivi (Pestalozzi, Rosmini, Montessori…), l’educazione del cuore. Famosa è la sua espressione: “L’educazione è cosa di cuore”. E continuava: “tutto il lavoro parte da qui, e se il cuore non c’è, il lavoro è difficile e l’esito è incerto. Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati”. L’amore dimostrato, ma anche percepito è al centro dell’educazione che riconosce tutto ciò che è “vero, nobile giusto, puro, amabile, onorabile” - come ricorda S. Paolo - oggetto dell’educazione. Non è sempre facile soprattutto far percepire l’amore. Per amare serve passione, ma anche “affabilità”, familiarità e relazionalità. Le distanze non aiutano ad amare, ma creano diffidenza, incomprensione. L’educazione del cuore si fonda, secondo Don Bosco, su tre elementi: “la ragione, la religione e l’amorevolezza. Nell’educazione delle nostre famiglie dobbiamo forse riscoprire il valore di questo metodo educativo, per evitare forme superficiali di sentimentalismo, di possesso, per valorizzare sia la dimensione esteriore, ma anche interiore dell’educazione, che ha bisogno di ragioni, ma anche di gesti, di segni. Della dimensione esteriore e interiore della persona parla anche la pagina evangelica di Marco che presenta Gesù maestro nella sinagoga di Cafarnao. All’insegnamento Gesù unisce il miracolo della guarigione e liberazione dal demonio di un suo ascoltatore che meraviglia i presenti. Il male è spesso dentro e non fuori di noi. Per questo ogni forma educativa deve guardare al cuore e non solo agli atti esteriori. Cari fratelli e sorelle, sull’esempio di S. Giovanni Bosco, grande sognatore, impariamo a desiderano sempre qualcosa di più dalla nostra vita, cercandolo non fuori di noi, ma dentro di noi, non indurendo il nostro cuore - come ci ha ricordato il salmo responsoriale 94 di oggi - educando il nostro cuore ad amare, non fermandoci ai nostri ambienti, alle stesse persone, alle solite abitudini, ma uscendo, incontrando, con una rinnovata passione educativa e missionaria. Così sia.
Ferrara 28/01/2024

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