Il dono del discernimento



Essere testimoni del Signore, da preti, significa anzitutto mettere al centro della nostra vita l’annuncio del Vangelo, con parole e azioni che costruiscano uno stile di vita fraterna.


Cari confratelli, ritorna nella cappella del Seminario, come ogni anno, la nostra preghiera e il nostro ricordo dei confratelli defunti, Arcivescovi, presbiteri diocesani e religiosi, iscritti all’associazione dei Quaranta martiri. E’ un ricordo talora ormai lontano, altre volte molto vicino, segnato da una fraternità che caratterizza ogni presbiterio diocesano. E’ una preghiera che indica una comunione con loro, schiera di quella Chiesa che forma la casa del Padre. Ci mettiamo in ascolto della parola di Dio. La lunga pagina del libro di Daniele parte da un sacrilegio compiuto dal re Baldassar, che ha voluto banchettare con i vasi sacri del Tempio di Gerusalemme asportati dal padre Nabucodonosor, e dall’apparizione di una mano che scriveva sulle pareti del palazzo. Per decifrare il segno della mano viene chiamato il profeta Daniele, riconosciuto come uomo sapiente, in cui c’è “luce, intelligenza e sapienza”. Daniele spiega al re il segno. Daniele, uomo di Dio, è l’uomo del discernimento. Ogni prete è chiamato a saper discernere, cioè valutare ciò che in una comunità accresce la fede, la speranza e la carità, ciò che è bene e ciò che è male. E per fare questo il prete ha bisogno di una preparazione – è il cammino del Seminario - , della grazia sacramentale, ma anche di una formazione permanente che alimenta le ragioni della fede, la capacità di discernimento, l’annuncio e la testimonianza della fede. In quest’anno pastorale come presbiteri unitamente alle nostre comunità siamo chiamati, dopo un tempo di ascolto, a saper discernere insieme. E’ la seconda tappa del cammino sinodale, la tappa sapienziale, in cui mettiamo a fuoco alcuni temi emersi – la missione, la Liturgia e la Parola, le unità pastorali, la corresponsabilità, le strutture e gli spazi ecclesiali – per scegliere come cambiare lo stile il linguaggio, gli strumenti dell’agire pastorale. Il discernimento comunitario per un prete oggi è un esercizio fondamentale, per evitare il pericolo della superficialità, della ripetitività, del clericalismo e non valorizzare la partecipazione alle scelte e l’uso dei beni. Daniele, sapiente e profeta ricorda al re ciò che vale e ricorda a noi come la fede ha bisogno continuamente di ridire le sue ragioni, soprattutto nei momenti di difficoltà, dove è facile perdere la speranza. La pagina evangelica di Luca, per queste ragioni, segnala le parole di Gesù ai discepoli, di come potranno essere tempi difficili per la loro vita di fede e di comunità per le persecuzioni, le falsità, i tradimenti. Forse anche oggi viviamo questi tempi, dove ciò che il Signore chiede a noi come agli apostoli la testimonianza. Essere testimoni del Signore, da preti, significa anzitutto mettere al centro della nostra vita l’annuncio del Vangelo, con parole e azioni che costruiscano uno stile di vita fraterna. Anzitutto tra noi, come presbiterio. La cura delle relazioni passa attraverso la condivisione di un cammino pastorale, con una partecipazione attiva ai momenti comunitari, l’obbedienza alle indicazioni condivise, la fedeltà al Magistero, la condivisione fraterna dei beni, che indicano la promessa della povertà, il dono totale della vita al servizio della comunità e del Vangelo, non tradendo la castità. Il ricordo di tanti nostri confratelli defunti che formano il presbiterio di questa Chiesa di Ferrara-Comacchio è anche il ricordo di preti obbedienti, poveri e casti, pastori di comunità a cui hanno dato tutto se stessi, affrontando anche situazioni difficili, segnati anche nella sofferenza fisica o psicologica, traditi negli affetti. Tra loro ci sono anche preti che hanno sbagliato, hanno avuto debolezze e fragilità anche pubbliche. Ricordiamo, però, le parole di Papa Francesco nell’esortazione Christus vivit: “I nostri peccati sono davanti agli occhi di tutti; si riflettono senza pietà nelle rughe del volto millenario della nostra Madre e Maestra. Perché essa cammina da duemila anni, condividendo «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini». E cammina così com’è, senza ricorrere ad alcuna chirurgia estetica. Non ha paura di mostrare i peccati dei suoi membri, che talvolta alcuni di loro cercano di nascondere, davanti alla luce ardente della Parola del Vangelo che pulisce e purifica. E non cessa di ripetere ogni giorno, con vergogna: «Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; […] il mio peccato mi sta sempre dinanzi» (Sal 51,3.5). Ricordiamoci però che non si abbandona la Madre quando è ferita, al contrario, la si accompagna affinché tragga da sé tutta la sua forza e la sua capacità di cominciare sempre di nuovo” (C.V.101). Forse qualcuno di questi nostri presbiteri e arcivescovi defunti è stato anche il motivo della nostra conversione o della nostra consacrazione, segni e strumenti, servi di un Dio che è Padre soprattutto per noi presbiteri. Il ricordo e la preghiera di oggi ravviva la loro testimonianza di fede e motiva la nostra testimonianza di fede. Cari confratelli, tra pochi giorni celebreremo la prima Domenica di Avvento. Un nuovo anno liturgico inizia, ma soprattutto inizia il tempo dell’attesa del Natale, della celebrazione dell’Incarnazione del Figlio di Dio. Il ricordo dei presbiteri e arcivescovi defunti ci accompagni in questo tempo, perché la nostra testimonianza della fede sia carica di “luce, intelligenza e sapienza”, per accompagnare l’attesa e la gioia di camminare incontro al Signore. Così sia.

Ferrara 29/11/2023

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