Le nostre Chiese e la pastorale interculturale

 


RELAZIONE AL CONVEGNO DEI SACERDOTI AL SERVIZIO DELLE COMUNITÀ ITALIANE IN SVIZZERA


Le nostre Chiese e la pastorale interculturale

Gli ‘Orientamenti per una pastorale interculturale’ del Dicastero per lo sviluppo umano e ‘il cammino della pastorale interculturale’ della Chiesa svizzera

1. Premessa
La Chiesa è in cammino, perché fatta di uomini e donne in cammino. E nella Chiesa anche i ministeri, ordinati e istituiti, camminano con le persone. Ogni cammino ha una sosta, dove spesso le persone costruiscono la loro casa, la loro vita, una comunità. E questo luogo di sosta spesso è condiviso: da chi era già presente, da chi arriva dopo di noi. E questo luogo sempre di più è condiviso da persone e famiglie con lingue, culture, storie, aspettative diverse. In un medesimo luogo possono arrivare e vivere insieme persone della stessa fede, con lingue e tradizioni diverse. In una pastorale interculturale devono essere tenuti presenti tutti questi aspetti, con al centro oggi, come a Pentecoste, la stessa preoccupazione “che ognuno sentiva parlare i discepoli nella loro lingua”. L’unità non si costruisce attorno alla lingua, ma attorno all’annuncio del Vangelo. E’ la gioia del Vangelo che ci unisce e non la stessa forma linguistica e lo stesso stile di vita: sarebbe omologazione. Il Signore chiede l’unità nell’annuncio del Vangelo, non le stesse parole per annunciarlo.
La pastorale interculturale, pertanto, ha al centro l’unità dell’annuncio del Vangelo. La Chiesa è la garante di questa unità dell’annuncio del Vangelo.

2. I sette passi per una pastorale interculturale
Il documento del Dicastero per lo sviluppo umano, pubblicato un anno fa (22.3.2022) ci indica i passi di questo cammino pastorale interculturale.

Il primo passo è riconoscere e superare la paura. Il cammino anche di un credente, come di ogni persona, ha delle fatiche, che si traducono anche nella paura di testimoniare la propria fede in un Paese diverso, con una lingua diversa, con un diverso modo anche di celebrare, di pregare. Anche la paura di incontrare i fedeli di una comunità che prega e celebra in una lingua che non si conosce.

Il secondo passo è non isolarsi, ma cercare l’incontro da parte di chi arriva in una comunità e favorire l’incontro da parte di chi già vive in una comunità. E’ la prima cosa ricordata anche nel discorso di papa Francesco alle nostre missioni cattoliche italiane in Europa, nell’udienza dell’11 novembre 2021: “i migranti sono una parte rilevante del ‘noi’”. Comunità cristiane accoglienti, che allargano gli spazi, aprono, favoriscono un incontro interculturale.

Il terzo passo è l’ascolto. L’ascolto presuppone, nel caso di lingue diverse, anche una mediazione culturale e linguistica. L’ascolto presuppone anche il rispetto, superare l’idea di superiorità dell’uomo sull’altro; presuppone un servizio, una cura, una pazienza.

Il quarto passo è dare spazio all’altro, non lasciarlo fuori dalla comunità: “comunità religiose palestre di socialità”, per usare il titolo di un articolo di Maurizio Ambrosini su Aggiornamenti sociali (novembre 2022) . Significa condividere i luoghi per la celebrazione, la catechesi e la carità, significa fare in modo che l’annuncio del Vangelo e la celebrazione del Mistero sia compreso da tutti, e quindi proposto in lingue diverse, dentro un’unica Chiesa, comunità cattolica. Ieri e ancora oggi questa cattolicità si viveva sentendosi parte della stessa Chiesa pur celebrando in comunità, missioni cattoliche diverse, con sacerdoti di diversa lingua o provenienti da Paesi diversi. Oggi forse è possibile costruire un’unica comunità, con un annuncio del Vangelo in lingue diverse, una celebrazione del mistero in lingue diverse, una programmazione pastorale comune, comuni spazi celebrativi e di condivisione. Forse in questo nuovo modo chi ci vede potrebbe ripetere le parole dei cittadini di Antiochia nei confronti dei cristiani: “Guarda come si vogliono bene”.

Il quinto passo è maturare la convinzione che questo incontro, ascolto, condivisione è una benedizione, è una grazia con cui il Signore arricchisce la nostra vita cristiana e la nostra comunità. Lo ricorda papa Francesco in un passaggio dell’enciclica Fratelli tutti: “gli immigrati, se li si aiuta a integrarsi, sono una benedizione, una ricchezza e un nuovo dono che invita una società a crescere” (F.T. 135). Non si può semplicemente sopportare l’incontro e l’ascolto, la celebrazione in lingua diversa.

Il sesto passo, allora, è ripensare lo stile dell’annuncio, più vicino allo stile di Pentecoste, dove in una comunità tutti possono ascoltare il Vangelo, vivere i sacramenti nella propria lingua, sentendosi a casa.

L’ultimo passo, allora, è lavorare per mettere in comune in un territorio, decanale o cantonale, una comunità pastorale che traduca le note dell’unità – unica programmazione – della cattolicità – un solo Vangelo annunciato e celebrato in lingue diverse, nell’unica o nelle diverse chiese di una comunità pastorale – della santità – che valorizzi la ministerialità, gli stili di vita di sacerdoti, laici e religiosi di lingue diverse – e dell’apostolicità – in comunione con il Papa e i Vescovi.

3. La pastorale interculturale e le nostre missioni cattoliche in Svizzera
Credo che gli Orientamenti della Santa Sede siano in stretta sintonia con il documento della Chiesa svizzera “In cammino verso una pastorale interculturale” e che questo possa essere il cammino condiviso dalle nostre missioni cattoliche in Svizzera: esperienze di fede e di annuncio della fede, di celebrazione originali, di condivisione dentro la stessa comunità pastorale decanale o cantonale. Secondo un documento della Chiesa Svizzera il 40% dei cattolici proviene da un contesto migratorio. Questo contesto dice l’urgenza di una pastorale interculturale. Questo contesto porta anche a valutare esperienze di vita presbiterale comunitarie diverse da quelle dei religiosi, come già in alcuni periodi della storia (ad. Es. i canonici lateranensi), una valorizzazione dei diversi ministeri (lettorato, accolitato, catechista), che assume anche il ruolo di ‘referente pastorale’, costruendo una sola programmazione e formazione pastorale che in Svizzera, diversamente dall’Italia, distingue la parte economica – gestita da un organismo sinodale – dalla parte pastorale. In questo modello è facilitato anche il passaggio da un ascolto e annuncio della fede in una lingua a un’ altra lingua, a seconda delle persone: per un bambino questo passaggio potrebbe avvenire più velocemente, anche grazie alla scuola, per un adulto, con il lavoro, per un anziano più difficilmente o non avverrà mai, senza alcun dramma. L’importante è che le persone rimangano al centro dell’annuncio cristiano, della nuova evangelizzazione.

Capiago - Como 08/02/2023

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