Intervista a mons. Perego: "El vescuv di migrant"

 


“Guarda chi è drè passar…lè el vescuv di migrant”: così i pensionati di Ferrara, che si ritrovano ogni mattina in piazza della cattedrale, commentano, in dialetto ferrarese, quando passa nelle vicinanze mons. Gian Carlo Perego, Arcivescovo di Ferrara. “Oramai mi hanno etichettato così”: dice sorridendo il presule che da anni si dedica ai migranti e dal 2021 è presidente della Fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale Italiana. Nell’imminenza della canonizzazione di mons. Giovanni Battista Scalabrini, vescovo di Piacenza e “Padre dei migranti”, che sarà ufficializzata da papa Francesco nel prossimo Concistoro del 27 agosto, abbiamo rivolto alcune domande a mons. Perego.

Mons. Scalabrini, è il primo Vescovo italiano a varcare l’oceano per visitare gli emigrati, e nel maggio del 1905, poco prima di morire, invia alla S. Sede un “Memoriale” per la costituzione di un organismo ecclesiale di coordinamento per gli emigrati cattolici di ogni nazionalità. Una figura affascinante. Cosa ne pensa? La vicenda del vescovo Scalabrini, uomo di grande carisma, si intreccia con la vita del vescovo di Cremona mons. Geremia Bonomelli, vissuto nello stesso periodo, con cui stabilisce una forte amicizia e una comunione di intenti che lega le due diocesi vicine. Essendo originario della diocesi di Cremona, ho approfondito questo legame che si evidenzia attorno al dramma dei migranti. Alla fine del 1800 un milione di persone all’anno emigra dall’Italia verso le Americhe e l’Europa, sia Scalabrini che Bonomelli vanno di persona a visitare i migranti. Bonomelli in Europa e nel medio oriente, Scalabrini nelle due Americhe: una vicinanza in maniera diretta che anticipa i viaggi che realizzeranno i papi a partire da Paolo VI. Questi vescovi, figure affascinanti, hanno precorso la storia della chiesa.

“Dobbiamo uscire dal tempio, o venerabili Fratelli, se vogliamo esercitare un’azione salutare nel tempio”: diceva mons. Scalabrini nella Lettera pastorale Centenario di S. Luigi, scritta nel 1891 a Piacenza. Quindi il vescovo piacentino ha anticipato i tempi, parlava già della chiesa in uscita?  Le stesse parole “uscire dal tempio” sono usate sia da Scalabrini che Bonomelli. Questi due vescovi erano molto attenti ai fenomeni sociali di allora: alle difficoltà dei braccianti agricoli e degli operai, e cercarono di favorire una formazione sociale del clero verso il sociale. Nel loro pensiero sono stati influenzati da grandi figure del mondo cattolico come Manzoni, Fogazzaro, Casati e altri personaggi che ritenevano fondamentale il rapporto tra chiesa e mondo e non uno scontro. La loro azione ha preparato quella visione che si è poi manifestata nella Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II.

È anche per questa sua attualità che mons. Scalabrini viene proclamato Santo?  Il profilo del cammino di santità di un beato è legato anzitutto a quanto una comunità viva la sua testimonianza di fede e di amore. Per mons. Scalabrini le diocesi di Como e di Piacenza sono in prima linea ad attestare la prova della sua dedizione agli ultimi. Inoltre il suo linguaggio, adatto sia a bambini che adulti, sia operai che intellettuali, è una ulteriore affermazione della sua popolarità e santità. Un altro aspetto da sottolineare in Scalabrini è la sua attenzione al concilio Vaticano I (1868-1870) dove si è proclamata l’infallibilità pontificia, un dogma molto dibattuto con 55 vescovi contrari. Scalabrini da prete, nella diocesi di Como, fa una serie di conferenze ai suoi parrocchiani per favorire una profonda recezione del Concilio Vaticano Primo. È un esempio, anche per noi oggi, su come capire il Vaticano Secondo dove si avvertono difficoltà nel recepire una chiesa, popolo di Dio, in dialogo con il mondo. Scalabrini, vescovo transigente, contro i molto agguerriti intransigenti del tempo, che non avevano digerito la perdita del potere politico del Papa, si esprime in maniera chiara per far comprendere il primato essenziale del pontefice fondato sulla carità, a servizio della libertà e non della difesa della chiesa.

Affermava mons. Scalabrini proprio a Ferrara: “Emigrano i semi sulle ali dei venti, emigrano le piante da continente a continente portate dalle correnti delle acque, emigrano gli uccelli e gli animali, e, più di tutti emigra l’uomo”. Quindi l’emigrazione è un fenomeno naturale che non può cessare?  La storia è una continua narrazione di emigrazioni. Questa frase famosa pronunciata da Scalabrini nella Conferenza di Ferrara del 1899, in un momento di forti tensioni dopo i moti di Milano del 1868, è rivolta ai cattolici impegnati che, dopo il non expedit, entrarono in politica. Una figura di spicco fu Giovanni Grosoli che avviò a Ferrara una serie di iniziative importanti a livello assistenziale e sociale; fu poi fondamentale per portare i cattolici ferraresi alla guida dell’amministrazione cittadina. In quel contesto a Ferrara era viva la consapevolezza che la politica fosse una forma di carità importante anche per tutelare i migranti.

Ci sono caratteristiche che rendono l’emigrazione di oggi simile rispetto a 150 anni fa?  Chi emigrava, 150 anni fa, andava alla ricerca di un lavoro per fuggire dalla povertà, dai disagi di una vita difficile, dalle malattie. Le promesse di una vita migliore venivano al Brasile, dall’Argentina, dagli Stati Uniti. I sogni di ieri sono gli stessi di oggi per cui in tanti abbandonano la propria terra. Si verificano gli stessi drammi: oggi tanti morti in mare, ma non dimentichiamo le barche inabissate nel canale della Manica dove morirono molti italiani. Poi lo stigma, il disprezzo il rifiuto nei confronti dei migranti c’è sempre stato. È opportuno ricordare l’uccisione di tanti italiani in Germania, in Francia e in altri paesi, colpevoli di reati che non avevano commesso. La difficoltà è proprio nella mancanza della cultura dell’incontro tra i popoli.

Oggi nell’Unione Europea ad alcuni paesi, come l’Italia, si addossano maggiormente la problematica di questi arrivi. Le sembra che l’Italia, nel gestire questi sbarchi, sia lasciata un po’ sola?  In questi anni alcuni aspetti positivi hanno fatto maturare una maggiore interazione in ambito europeo. Il progetto Erasmus è un esempio di come giovani studenti fanno esperienze di crescita culturale e lavorativa in altri paesi. Però la politica della migrazione è sempre gestita a livello nazionale e non europeo. Il regolamento di Dublino, con cui ognuno dei 21 stati europei aderenti può esaminare una domanda di asilo o riconoscimento dello status di rifugiato, è stato un passo in avanti per la ridistribuzione dei migranti che hanno diritto a una protezione internazionale. È pero fondamentale che sia accolto da tutti i 27 stati dell’Unione Europea. Se si mettesse in atto lo stesso meccanismo usato per i profughi dell’Ucraina negli scorsi mesi le cose sarebbero molo più semplici. Non dobbiamo poi dimenticare che l’Europa assorbe solo il 10 per cento dei richiedenti asilo nel mondo. Secondo le stime dell’Onu il peso maggiore dei migranti è sostenuto dai paesi limitrofi alle situazioni difficili e di guerra, dove ci sono enormi campi profughi. Inoltre c’è tanto pregiudizio e cattiva informazione. Uno studio realizzato dall’Università della Sapienza di Roma ha analizzato un milione di articoli giornalistici riguardanti i migranti, e ha fatto emergere che la parola migrante, nella maggior parte dei pezzi, è collegata a clandestino criminale, irregolare, dimenticando i due milioni di operai stranieri che sono nelle nostre fabbriche, e le loro tasse e contributi valgono 18 miliardi che entrano nelle casse dello stato… Bisogna arrivare a capire che il migrante deve essere visto  come un valore aggiunto per il nostro  paese.

Scalabrini vedeva il cammino della storia degli uomini verso l’unità… È una speranza utopica? Una sola famiglia umana è lo stesso pensiero che accomuna tanti Papi, partendo dalla “civiltà dell’amore” di Paolo Vi per arrivare alla “Fratelli Tutti” di Papa Francesco che esorta i popoli ad un cammino di fraternità. Non è utopia: un esempio sono stati primi passi dei cattolici, come De Gasperi, che hanno contribuito a creare una Europa unita. Questo tema di fratellanza e unione tra i popoli è già avvenuto in alcuni passaggi sociali e si realizzerà nella misura in cui gli organismi internazionali, come l’Onu, riusciranno a far accogliere a tutti l’interesse comune della tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, fra cui la libera circolazione delle persone, perché tutti si sentano a casa dappertutto.

Oggi si punta molto anche nella Chiesa sull’accoglienza, giustamente, ma alcuni dicono che è venuta meno l’attenzione ad annunciare Gesù… anche ai nuovi arrivati. Come vede questa tematica?  La santità di mons. Scalabrini emerge da una fede legata alla vita. Non ha separato l’annuncio del Vangelo da una testimonianza sociale nel far propri i problemi degli agricoli, degli operai, degli emigranti… La lezione che ci viene da Scalabrini è quella di un annuncio evangelico sempre carico di un impegno nella scelta degli ultimi e dei poveri. Sulla scia della Populorum Progressio, delle encicliche sociali di Giovanni Paolo II, ed anche della Deus Caritas Est di Benedetto XVI, si evince che l’annuncio non è soltanto verbale, ma è stile di vicinanza, di amore, di perdono di pace e di non violenza. Scalabrini diceva che non basta annunciare verità, ma sottolineava l’emergenza di cambiare il cuore, le strutture di peccato che tante volte umiliano le persone. La via dell’evangelizzazione è quindi nella promozione dell’uomo come già affermava San Giovanni Paolo II nella Redemptor Hominis.

Lei è da molti anni in contatto con i migranti, ci può raccontare una esperienza personale, un episodio che le è rimasto nel cuore?  L’aspetto che mi è più caro è il primo incontro, dopo il famoso sbarco degli albanesi in Italia, che ho avuto con i migranti. Come direttore Caritas al centro di Cremona, ho accolto tante di queste persone. Ho ancora nel cuore i loro racconti di viaggio, ho negli occhi i volti uomini, donne, giovani, le loro speranze, la fatica della lontananza dal paese. Ho percepito la loro paura di trovarsi in un luogo senza nessun amico, la loro incertezza del futuro, non sapevano cosa sarebbe stato di loro. Questi ricordi mi resteranno sempre impressi…Da lì è nato il mio impegno per aiutare i migranti, per la loro regolarizzazione, l’aiuto per ricongiungimenti familiari. Un impegno che è cresciuto con il mio ruolo ora di presidente della Migrantes. Il motto “aiutiamoli a casa loro” è vero, ma hanno bisogno di tante risorse e bisogna passare dalle parole ai fatti. Nella situazione odierna in Italia lo Ius Scholae è una strada giusta, un paese come il nostro si può rigenerare grazie ai migranti. “Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati” è proprio il tema, scelto a papa Francesco, per La Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che si celebrerà il 25 settembre. “Se vogliamo cooperare con il nostro Padre celeste nel costruire il futuro, - afferma il pontefice - facciamolo insieme con i nostri fratelli e le nostre sorelle migranti e rifugiati. Costruiamolo oggi! Perché il futuro comincia oggi e comincia da ciascuno di noi”.

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